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Papini, Giovanni.

Scrittore e saggista italiano. Entrò giovanissimo a far parte di quel movimento che, a Firenze, incarnò all'inizio del Novecento la reazione alla cultura accademica italiana. Fondatore nel 1903, insieme con G. Prezzolini, della rivista "Il Leonardo", il cui programma era ispirato a un individualismo anarchico e idealista, negli stessi anni fu redattore del "Regno" di E. Corradini, organo del Partito Nazionalista; a quel periodo risale inoltre la pubblicazione delle sue prime prove di narratore e saggista. Nel Crepuscolo dei filosofi (1906), P. dichiarò esaurita la funzione della filosofia rappresentata da pensatori come Hegel e Kant, come struttura portante della cultura occidentale. Chiusa nel 1907 l'esperienza de "Il Leonardo", fedele all'intento di divulgare in Italia il pragmatismo irrazionalista, nel 1912 P. divenne direttore della rivista "La Voce", che occupò un posto decisivo nella storia della cultura italiana contemporanea; staccatosi l'anno successivo, fondò insieme ad A. Soffici la rivista "Lacerba" (1913), concepita in aperta polemica a "La Voce" e divenuta organo del movimento futurista fiorentino. Questo periodo fu caratterizzato da una fervida attività pubblicistica condotta da posizioni di avanguardia; la reazione antipositivistica e antitradizionalistica è testimoniata anche dalla serie delle Stroncature (1916), con le quali P. provò a distruggere alcuni miti letterari rappresentati da classici come Il Decamerone e Amleto. Animato da un vitalismo che letteralmente si trasfuse in un tono oratorio e teso al sublime, P. passò attraverso diverse esperienze culturali, senza trovare in nessuna di esse il puntello concettuale alla sua personale ricerca di certezze. Su questo percorso interiore volle costruire un'opera autobiografica, Un uomo finito (1912), diario di una crisi esistenziale sullo sfondo della situazione della cultura italiana nel primo Novecento. Nel 1919 avvenne la conversione al Cattolicesimo, in cui P. trovò il sostrato ideologico ideale per giustificare le concezioni autoritarie e pessimistiche cui era giunto alla fine della prima guerra mondiale. Il documento letterario di questa scelta fu la Storia di Cristo, pubblicata nel 1921 con vasto successo. L'esito coerente di queste esperienze e vicissitudini intellettuali fu la pronta adesione di P. al Fascismo, di cui divenne scrittore ufficiale. Chiamato nel 1935 a ricoprire la cattedra di Letteratura dell'università di Bologna, dovette rinunciarvi a causa di una grave malattia agli occhi. Nel 1937, anno di pubblicazione del solo volume compiuto di una sua Storia della letteratura italiana, venne nominato membro dell'Accademia d'Italia, l'istituzione culturale ufficiale del regime fascista. Nel dopoguerra, estraneo al rinnovato clima culturale, continuò tuttavia una stanca e isolata attività intellettuale; scrisse Vita di Michelangelo nella vita del suo tempo (1949), Il diavolo (1953) e Il giudizio universale (pubblicato postumo nel 1957). P. è stato un esponente rappresentativo della cultura irrazionalistica nell'Italia dei primi anni del Novecento. La sua vastissima produzione ha valore, oggi, sotto il profilo documentario della "traduzione" italiana di tendenze irrazionalistiche della filosofia tedesca e soprattutto francese nel periodo tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, mentre nella sua prosa baroccheggiante gli aspetti più interessanti sono la ricchezza di immagini, il gusto del paradosso, la veemenza dissacratoria (Firenze 1881-1956).